avarizia

2022

Spieghiamo cos'è l'avidità, vari esempi e le sue differenze con l'avidità. Inoltre, quali sono gli altri peccati capitali.

L'avidità porta ad accumulare e preservare ciò che è accumulato.

Cos'è l'avidità?

L'avidità è il desiderio incontrollabile e disordinato di accumulare beni, ricchezze o oggetti di valore, al di là del esigenze minime di sopravvivenza, con il solo intento di farne tesoro per se stessi. È considerato, quindi, una forma di egoismo, più o meno equivalente all'avidità.

È possibile intendere l'avidità da una prospettiva laica e psicologica, o anche da una prospettiva religiosa e culturale, ma in entrambi i casi il termine ha una connotazione negativa legata al desiderio insaziabile di avere qualcosa che era già presente nella sua origine, poiché deriva dal latino avere, "Desiderio" o "desiderio".

Infatti, per psicologia, l'avidità è l'incapacità di controllare o limitare la formulazione dei desideri, nonostante il fatto che i bisogni fondamentali che li motivano siano già soddisfatti. Questo tipo di comportamento porta all'accumulo e all'accumulo, presenti in disturbi psicologici come la disposofobia (sindrome da accumulo compulsivo) o il disturbo ossessivo-compulsivo (sindrome di Diogene).

Invece, da un punto di vista morale, l'avidità è intesa come a egoismo eccessivo e una colpa capace di generare altri mali, come la slealtà, il tradimento per tornaconto personale, corruzione e persino azioni legalmente condannate come furto, frode e aggressione.

Il cattolicesimo, per esempio, lo intende come un vice capitale contraria a virtù di generosità, e molto vicino a peccato mortale di avidità. I buddisti, da parte loro, lo interpretano come un collegamento sbagliato tra il materiale e il felicità.

Nella tradizione occidentale, l'avidità è stata spesso rappresentata con l'immagine di un lupo affamato o di una donna che si allontana dalla cornucopia. Nell'immaginario biblico è rappresentato sotto il nome di mammón, una parola aramaica che significava "ricchezza", ed era associata al re Mida della mitologia greca, il cui tocco rendeva tutto dorato.

Nell'immaginario moderno, invece, l'avidità era associata all'idea dell'usuraio (spesso di discendenza ebraica, così era usuale tra le accuse antisemite), dell'usuraio, e in seguito del magnate o miliardario, il cui unico amore risiede nel denaro, come il personaggio di Ebenezer Scrooge di Storia di Natale di Charles Dickens (1812-1870).

Esempi di avidità

Accumulare un prodotto fa male ad altri che ne hanno bisogno.

L'avidità può manifestarsi in molti modi molto diversi, che hanno in comune il desiderio irrefrenabile di accumulare beni o possedimenti, o l'eccessivo amore per essi, come ad esempio:

  • Rifiutarsi di aiutare gli altri in difficoltà avendo i mezzi per farlo e senza comportare grandi sacrifici personali.
  • Accumulare beni o prodotti molto richiesti, ben al di sopra della soddisfazione dei bisogni personali, e indipendentemente dal fatto che altri siano lasciati senza accesso ad essi.
  • Accumulare denaro e rifiutarsi di spenderlo per godersi la vita, per ottenere cose o esperienze, accontentandosi solo di veder crescere la propria fortuna.
  • Lasciare che gli altri subiscano disgrazie irreparabili per non perdere una piccola parte di ciò che si ha, anche se il sacrificio personale sarebbe insignificante rispetto al danno che gli altri subiranno.

Avidità e avidità

L'avidità e l'avidità sono concetti molto simili, poiché entrambi hanno a che fare con il desiderio e l'ambizione eccessivi. Tuttavia, non sono nozioni intercambiabili: mentre l'avidità ha a che fare con il desiderio di accumulare e preservare ciò che si accumula, l'avidità è invece intesa come una forma di ambizione inarrestabile.

Cioè, l'avidità è un desiderio di ricchezza esagerato e impossibile da soddisfare, che non ha nulla a che fare con il sostentamento oi bisogni primari di un individuo. In altre parole, l'avidità è l'amore per la ricchezza fine a se stessa.

A differenza dell'avidità, trattenuta nel credo cattolico da un vizio - seppur grave - l'avidità costituisce peccato capitale o peccato mortale, cioè uno dei peccati più gravi contemplati dalla morale cristiana. Tuttavia, questa distinzione tra avidità e avidità è spesso trascurata.

Altri peccati capitali

A parte l'avidità o l'avidità, i sette peccati capitali della dottrina cattolica sono:

  • Il orgoglio, inteso come credersi più degli altri, cioè un amore disordinato per se stessi. Questo è considerato il più grave dei peccati capitali, essendo l'originale o quello che genera tutti gli altri.
  • Il vai a, descritto come un sentimento incontrollabile di rabbia o rabbia, che spesso porta all'odio e intolleranza.
  • Il invidia, inteso come il desiderio irrefrenabile e malsano di ciò che gli altri hanno e di ciò che manca a uno, sia esso qualcosa di fisico, mentale, emotivo o di qualsiasi altra natura. Gli invidiosi, privi di ciò che l'altro ha, si rallegra nel caso in cui lo perda, celebrando la sventura altrui come il proprio trionfo, e talvolta provocandola anche con le proprie mani.
  • Il lussuria, inteso come desiderio carnale inarrestabile e impossibile da soddisfare, cioè un desiderio sessuale o erotico inarrestabile che non rispetta i limiti, né obbedisce alla coscienza. Come descritto da Dante Alighieri (1265-1321) nel suo Divina Commedia (scritto tra il 1304 e il 1321), i lussuriosi amano così tanto gli altri da mettere Dio al secondo posto.
  • Il gola, identificato con il consumo eccessivo di cibi e bevande, senza essere correlato alla soddisfazione della fame e della sete. Questo è il peccato dei bevitori, dei golosi e anche dei tossicodipendenti.
  • Il pigrizia, intesa come incapacità di farsi carico della propria esistenza, cioè come negligenza degli obblighi e responsabilità indipendentemente dalle conseguenze, dalla sconsideratezza e anche dalla pigrizia.
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